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Casco obbligatorio per i ciclisti: una norma inutile e controproducente Nel corso della discussione che si sta svolgendo in Commissione al Senato sulle nuove “Disposizioni in materia di sicurezza stradale”, che dovrebbero introdurre modifiche al Codice della strada in materia di limitazioni nella guida e di sanzioni per talune violazioni, il 15 aprile è stato approvato il seguente emendamento: «Durante la marcia ai conducenti di velocipede è fatto obbligo di indossare e di tenere regolarmente allacciato un casco protettivo conforme alla normativa tecnica europea in materia. (…)». La notizia, rimbalzata sui media, ha suscitato un certo clamore, giungendo fra l’altro del tutto a sorpresa. Firmatari dell’emendamento sono i senatori: Giaretta, Marco Filippi, Donaggio, Fistarol, Magistrelli, Morri, Papania, Sircana, Vimercati, Zanda. Il primo firmatario, senatore Paolo Giaretta, da noi direttamente interpellato, ha tenuto a chiarire che la sua proposta prevedeva in realtà solo l’obbligo delle bretelle riflettenti nelle ore serali (che difatti è rimasto nel seguito del testo approvato), per favorire la visibilità del ciclista sulle strade, ma non la norma sul casco, su cui lui stesso non è d’accordo, e che viceversa è stata inserita da uno dei firmatari, modificando l’emendamento senza consultare tutti gli altri sottoscrittori. La norma di cui si sta discutendo in Commissione è pertanto da ricondurre più alla iniziativa individuale di un parlamentare che non ad una valutazione condivisa o a un preventivo confronto sul tema. Già da questo punto di vista riteniamo opportuno invitare a un supplemento di riflessione il Legislatore, prima del voto finale. Ciò premesso, la Federazione Italiana Amici della Bicicletta (FIAB onlus), in accordo con tutte le associazioni europee per la promozione della bicicletta riunite sotto la sigla ECF, è favorevole all’uso del casco, ma esprime netta contrarietà a una norma che disponga l’obbligo generalizzato di indossarlo nell’utilizzo della bici anche per la mobilità quotidiana (e quindi a prescindere da competizioni sportive). Sia detto senza equivoci: contrarietà all’obbligo non equivale a contrarietà all’utilizzo del casco. A fronte della introduzione di un obbligo giuridico diventa infatti inevitabile valutare il rapporto costi / benefici da esso derivanti. Occorre avere ben chiaro che non è spostando gli oneri di protezione sull’anello finale della catena (il ciclista, in questo caso) che le nostre strade e le nostre città diventeranno più sicure. Quella dell’utilizzo obbligatorio del casco è una misura che, laddove adottata e al di là delle motivazioni dichiarate, ha dimostrato effetti controproducenti sulla pratica della bici, trasformandosi in un deterrente che ha ridotto il numero dei ciclisti in circolazione. D’altro canto, in Europa, nei Paesi a più alta densità di traffico ciclistico (Francia, Germania, Olanda, Regno Unito, per citarne alcuni), non esiste una norma in questi termini. E i Paesi che viceversa hanno penalizzato l’uso della bicicletta senza casco (nell’elenco degli Stati che hanno introdotto l’obbligo generalizzato del caschetto si annoverano: Australia, Israele, Nuova Zelanda, Sud Africa, Turchia) hanno fallito nel ridurre il tasso di infortuni, nonostante l’aumento percentuale dei ciclisti con casco. Si aggiunga che la protezione garantita al ciclista dall'uso del casco in caso di investimenti ad alta velocità è sostanzialmente ininfluente e crea anzi una falsa percezione di sicurezza che non corrisponde all’effettiva protezione, dato che i caschi sono omologati per reggere solo a cadute minori (impatti fino a 23 km/h, al contrario dei caschi per moto, profondamente diversi ma inutilizzabili in bici, che reggono a collisioni a velocità superiori). Alla luce di tutto quanto precede, è evidente che gli elementi a favore dell’obbligo dell'uso del casco per il ciclista sono deboli. E non molto maggiori di quelli che potrebbero prevedere l’imposizione di un analogo obbligo di protezione a carico del pedone. Si pensi ancora alle prevedibili conseguenze negative sul bike sharing, le cui prestazioni si vanno sviluppando in diverse città italiane con un indiscutibile riscontro di favore, rispondendo a una diffusa esigenza di mobilità flessibile e leggera: l’utente che preveda di utilizzare il servizio magari per un breve tragitto dovrà portarsi in giro il casco tutto il giorno? È dimostrato che la maggior sicurezza per i ciclisti è data dal numero degli stessi (“Safety in numbers”), vale a dire: più ciclisti ci sono in giro, meno incidenti avvengono ai ciclisti, ma anche agli automobilisti; simmetricamente, da una diminuzione delle biciclette in circolazione è ragionevole attendersi un aumento del rischio di infortuni per i ciclisti rimanenti. Quanto sopra affermato in tema di sicurezza e utilizzo del casco è riportato e referenziato in alcuni documenti pubblicati sul sito FIAB nazionale, ed è sintetizzabile come segue: “consigliato sempre, obbligatorio mai”. La Federazione Italiana Amici della Bicicletta sollecita pertanto le autorità e le pubbliche istituzioni a:
dare avvio ad un ampio dibattito, anche a livello parlamentare, coinvolgendo i rappresentanti dell’utenza e i molti centri di competenza esistenti sul tema di come migliorare la mobilità ciclistica e la sicurezza degli spostamenti, in modo da impostare norme condivise e non estemporanee. Nell’approssimarsi della Prima Giornata nazionale della bicicletta, indetta dal Ministero dell’Ambiente per il prossimo 9 maggio, la FIAB chiede dunque ai parlamentari di tutti gli schieramenti di adoperarsi affinché una tale norma venga al più presto corretta, prima della sua definitiva approvazione in Aula e della conseguente trasformazione in Legge della Repubblica. Anche per evitare, dopo le roventi polemiche già seguite alla approvazione delle norme che prevedono il taglio dei punti-patente ai ciclisti con il cd. “Pacchetto sicurezza” dello scorso luglio, di accendere nuovi ed inutili fronti di conflitto su un settore, quello della mobilità ciclistica, il cui sviluppo in Italia risulta fortemente in arretrato e penalizzato rispetto al resto dei Paesi europei, dove è oggetto di ben altra attenzione e considerazione, sia dal punto di vista normativo sia da quello sociale e politico.
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