1.
Fra
le disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni
sul lavoro contenute nel decreto legislativo n. 38 del 23.2.2000,
l’articolo 12 introduce la copertura assicurativa del lavoratore
durante i suoi spostamenti, cioè per i cd. “infortuni in itinere”, dandone la seguente definizione:
«Salvo
il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal
lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli
infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale
percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di
lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di
lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non
sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale
percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di
consumazione abituale dei pasti. L'interruzione e la deviazione si
intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza
maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o
all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione
opera anche nel caso di
utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato.
Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente
cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non
terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione,
inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della
prescritta abilitazione di guida».
2.
Ancorandosi
a questo testo, che è la traduzione legislativa di principi di
natura giurisprudenziale, si è andata costruendo
un’interpretazione che, forse tesa a contenere le richieste di
indennizzo, finisce col penalizzare anche chi sceglie la bici per
i propri spostamenti.
Espressione
di questa interpretazione è una distinzione tra mezzi privati e
pubblici, con una netta opzione a favore di questi ultimi basata
sull’assunto che il “mezzo
pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle
persone e comporta il grado minimo di esposizione ai rischi
derivanti dalla circolazione stradale” (così Cass., Sezione
Lavoro, sent. 17.1.2007 n. 995).
Rispetto
alla dicotomia appena citata, la
bicicletta viene considerata alla stregua di qualsiasi mezzo di
trasporto privato. E pertanto al ciclista che, lungo il tragitto
quotidiano casa-lavoro, subisce un infortunio, viene negata la
copertura assicurativa dell’Inail, salvo che egli provi la
effettiva necessità di utilizzare la bici, anziché servirsi del
trasporto pubblico.
E’
una impostazione sulla quale non
si può essere d’accordo.
Intanto,
affermare che il mezzo pubblico costituisce oggi lo “strumento normale” per la mobilità delle persone suona quasi più
come un condivisibile auspicio, che non una realtà effettiva:
diciamo che, da questo punto di vista, gli standard italiani non
sono così soddisfacenti... Ma, soprattutto, l’interpretazione
citata sembra andare ben oltre i propri fini, perché equiparare
la bici all’auto non è probabilmente il modo più efficace per
disincentivare l’uso del mezzo privato a motore a favore del
trasporto pubblico.
3.
Sulla
base di queste premesse, FIAB aveva quindi lanciato una petizione
per chiedere al Parlamento che, con una modifica legislativa,
l’uso della bicicletta venisse «comunque
coperto dall’assicurazione, anche nel caso di percorsi brevi o
di possibile utilizzo del mezzo pubblico». Le oltre
10.000 firme raccolte, fra cui anche alcune adesioni
istituzionali, sono state consegnate ai parlamentari “amici della bici”, nel febbraio 2010,
ma, da allora, non abbiamo notizia di sviluppi su questo tema.
4.
Parallelamente,
il Servizio legale della FIAB, nel settembre 2010, inviava una richiesta
alla Direzione generale dell’INAIL per chiedere un
intervento sulla mobilità in bici casa-lavoro.
Tale
richiesta andava anche a supporto della precedente petizione, ma,
partendo da alcune esperienze di bike sharing realizzate in
Italia, sottolineava altresì come sia stata talora evidenziata la
valenza strategica del servizio di bici condivise in un’ottica
di servizio pubblico. In una tale cornice, si deve ritenere che
quantomeno l’utente del bike sharing, in caso di infortunio in
itinere, sia equiparato all’utente del servizio di pubblico
trasporto.
5.
A
giugno, non essendo pervenuta alcuna risposta da parte
dell’INAIL, il Servizio legale della FIAB sollecitava un
riscontro, inserendo questa volta fra i destinatari anche il
Ministero del lavoro, da cui funzionalmente dipende l’Ente
assicurativo nazionale.
6.
Qualche
settimana dopo, la FIAB riceveva una risposta dalla Direzione
Centrale prestazioni dell’INAIL che, seppure rinviando a un
successivo parere del Ministero, pareva aprire per la prima volta
un possibile spiraglio, affermando che «[...] la
peculiarità dell'interpretazione che l'INAIL intenderebbe
adottare in merito alla indennizzabilità degli infortuni occorsi
alla guida di tale mezzo di trasporto privato rende necessaria
tuttavia una verifica al fine di conoscere l’avviso in materia
del Ministero del lavoro».
7.
Tuttavia,
il parere del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
pervenuto alcuni giorni fa, conferma l’interpretazione
tradizionale affermando che l’indennizzo «si
fonda sul principio generale del rischio
elettivo, in base al quale: l’infortunio non deve derivare
da un comportamento volontario, volto a soddisfare esigenze
personali che non hanno alcuna connessione con lo svolgimento
dell’attività lavorativa».
Il
Ministero ricorda che la «giurisprudenza
recente si è espressa sul criterio della “necessità”
del mezzo privato» ritenendo che questa vada giustificata «secondo
un “criterio di
ragionevolezza”, intendendo con ciò far riferimento non
solo alle esigenze dell’attività lavorativa, ma anche alle
esigenze di vita del lavoratore (umane, familiari ed
economico-sociali) tutelate dall’ordinamento».
Dunque,
il Ministero del lavoro, concordando con l’Inail (nota 3663 del
21.06.2011), afferma che «l’eventuale
mancanza del requisito della necessità, equivale ad una
libera e volontaria scelta di utilizzo della bici e quindi di
esposizione ad un rischio maggiore rispetto a quello derivante
dall’utilizzo di un mezzo pubblico» (rischio maggiore
rappresentato dal fatto di porsi in circolazione lungo una strada
aperta al traffico di veicoli a motore) che, secondo questa
impostazione, interrompe la risarcibilità del danno.
E,
per quanto concerne la nostra richiesta relativamente alla tutela
in itinere per gli utenti dei servizi di bici in condivisione, il
Ministero dichiara che «il
servizio di bike sharing non può essere considerato un
servizio di trasporto pubblico» giacché, in base alla
norma di riferimento, «non
rileva la proprietà del mezzo di trasporto utilizzato, che può
essere del lavoratore o di un terzo, ma rileva
il controllo che il lavoratore può esercitare sulla
conduzione dello stesso, e sulle condizioni di rischio legate alle
scelte di guida del mezzo».
In
conclusione, secondo il Ministero del lavoro, «le misure proposte sono da ritenersi inconciliabili con l’assetto
assicurativo previsto dalla legislazione in materia».
8.
FIAB
ritiene che questa interpretazione, per un eccesso di formalismo,
non tenga nella dovuta considerazione le esigenze della mobilità
sostenibile, che sono già contenute anche nella normativa vigente
comunitaria, nazionale
e regionale (sinteticamente riferibili alla prevenzione del
rischio, al miglioramento del traffico e della sicurezza stradale,
alla promozione della salute e di una mobilità attiva) e che non
solo costituiscono comportamenti virtuosi per i positivi effetti
indotti, ma verosimilmente costituiscono anche il titolo
giustificativo di una eventuale disparità di trattamento tra
mezzi privati (auto vs. bicicletta), tale da configurare un legittimo caso di
trattamento diverso di situazioni differenti.
Per
questo motivo, la FIAB ha deciso di intraprendere azioni sia nei
confronti del Ministero per contestare il parere da ultimo citato,
sia nei confronti dei parlamentari amici della bici, per chiedere
che venga finalmente adottata la proposta di legge sul tema
dell’infortunio in itinere già avanzata dalla nostra
Federazione.
9.
Nel
frattempo, chi può, si organizza. Segnaliamo a tale proposito una
interessante iniziativa
della Regione Lombardia volta ad agevolare l’utilizzo della
bicicletta da parte dei propri dipendenti, per gli spostamenti a
Milano, sia per motivi di lavoro, sia per motivi personali.
Il
Mobility Manager ha stipulato con Clear Channel, la società che
gestisce BikeMi, il servizio milanese di bike sharing, una
convenzione per l’acquisto di abbonamenti annuali per i
dipendenti regionali a prezzo agevolato. Per rendere il servizio
ancora più efficiente, Regione Lombardia garantisce la copertura
assicurativa in caso di infortunio e di danni diretti e indiretti
causati a terzi anche nel tempo libero e nei giorni non lavorativi
(festività, ferie, assenze dal lavoro a qualsiasi titolo). Per i
dipendenti che si spostano in città per motivi di lavoro sono,
inoltre, a disposizione 20 tessere gratuite di “abbonamento
aziendale”.
Eugenio
Galli
Responsabile
Servizio legale
http://www.eius.it/giurisprudenza/2007/009.asp
http://www.studiogrisafi.com/ass1.html
http://www.who.int/dietphysicalactivity/factsheet_recommendations/en/index.html
http://injuryprevention.bmj.com/content/9/3/205.abstract
http://safetrec.berkeley.edu/newsletter/Spring04/JacobsenPaper.pdf
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