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PEDALARE MEGLIO
PER FATICARE MENO

di Marco Pierfranceschi

Quando si parla di biciclette, ognuno di noi è convinto di aver ben chiaro in mente di cosa sta parlando.
La bicicletta, in fin dei conti, è un veicolo a due ruote, senza motore, nel quale il movimento in avanti viene prodotto dal passeggero/guidatore attraverso la spinta sui due pedali.
Tutti, chi più chi meno, nel corso della vita, abbiamo avuto modo di provarne diverse "versioni", dalle bici da "passeggio" a quelle da corsa, dai modelli pieghevoli alle mountain bike, senza menzionare tandem, "recumbent" (le bici "sdraiate"), tricicli e, chi più ne ha, più ne metta.
In realtà questo veicolo, che tutti pensiamo di conoscere e comprendere, è un oggetto ingannevolmente semplice.
Fermandosi un attimo a riflettere sorge infatti una domanda: ha un senso, una giustificazione, un'utilità, tutta questa varietà di forme, dimensioni, posture?
Non potrebbe invece trattarsi di un guazzabuglio del tutto incoerente, dettato da motivazioni che sono ben diverse dall'aiutare il ciclista nel suo (relativamente) faticoso andare?
Esiste un tipo di bicicletta che sia più comoda, che si guidi meglio, che faccia fare meno fatica di altre?
La risposta è: sì. Ma quale?
Per sciogliere questo dubbio occorre andare alla radice del rapporto tra ciclista e bicicletta, ovvero scoprire le modalità, fisiologiche e meccaniche, attraverso le quali la nostra "fatica" si trasforma in energia cinetica, o, se preferite, in un "piacevole modo di viaggiare".
Potremo così comprendere quale sia il modo migliore di impostare la nostra posizione in sella, stare più comodi, soffrire e faticare meno (oppure faticare "meglio").

LA BICICLETTA: UN'INTERFACCIA TRA IL CICLISTA E LA STRADA

Come prima cosa possiamo chiederci: è sufficiente avere una bicicletta qualsiasi, magari nuova e/o perfettamente messa a punto, per affermare che chiunque ci può salire sopra ed utilizzarla col massimo del profitto?
Evidentemente no, perché una bicicletta, per quanto tecnicamente perfetta e registrata in maniera impeccabile, non funziona da sola!
Il corpo umano, il nostro corpo, è infatti una parte assolutamente essenziale dell'assieme bicicletta/ciclista.
È il ciclista che provvede alla generazione dell'energia motrice (muscoli), dispone dei sistemi sensori necessari ad individuare la direzione da seguire (occhi), sovrintende all'attivazione dei meccanismi accessori quali cambio, freni, sterzo (mani), e non da ultimo, fornisce la motivazione dello spostamento (cervello).
A voler portare agli estremi questo discorso si può anche arrivare ad affermare che il corpo umano altro non è che il "meccanismo organico" usato dal cervello (la sede della coscienza) per interfacciarsi con il mondo esterno ed operare su di esso.
Da questo punto di vista la bicicletta altro non è che un'estensione "meccanica" del nostro corpo "organico", concepita per aumentarne le potenzialità.
In qualche modo, una specie di... protesi.

L'ASSIEME CICLISTA/BICICLETTA: UN POSSIBILE CYBORG?

Per quanti non abbiano confidenza con la fantascienza spiegherò che la parola "cyborg", che ho usato con intento ironico per introdurre il paragrafo, deriva dalla fusione dei due vocaboli "cibernetico" e "organico" e sta ad indicare un essere in parte biologico e in parte macchina.
Il termine, in questo caso, è usato intenzionalmente a sproposito.
Nell'accezione che intendo dare al vocabolo, infatti, anche un uomo che mangia usando una forchetta finirebbe coll'essere considerato un "cyborg"!
Tuttavia, questa forzatura concettuale serve a marcare la differenza che esiste tra il considerare il sistema "ciclista/bicicletta" come un tutt'uno, rispetto al trattarlo rifacendosi ad una tipologia "utente/utensile".
La differenza, sul piano puramente concettuale, è già enorme.
Sul piano pratico lo è ancor di più, poiché consente di intervenire su parametri davvero fondamentali.
Ad esempio su quanto saremo stanchi alla fine di una gita, o quanto ci faranno male i polsi ed il sedere la sera, tornando a casa dopo una pedalata!

UN ASSUNTO FONDAMENTALE PER VIAGGIARE COMODI

"LA NATURA NON HA MODELLATO IL NOSTRO CORPO
PER ADEGUARLO ALLE ESIGENZE DELLA BICICLETTA,
QUINDI STA A NOI MODELLARE LA BICICLETTA
PER ADEGUARLA ALLE ESIGENZE DEL NOSTRO CORPO."

Il bello di questa affermazione è che praticamente tutti sarebbero disposti a sottoscriverla, salvo poi rendersi conto di non conoscere a sufficienza le esigenze del proprio corpo, soprattutto in rapporto all'uso della bicicletta.
D'altronde il concetto stesso di ergonomia è ancora relativamente giovane, e non si può certo pretendere che chiunque sia in grado di applicarlo...
A causa di questo si trovano ancora in commercio, accanto a biciclette di concezione moderna e razionale, "arnesi" a due ruote che sembrano usciti di peso da un romanzo d'appendice ottocentesco, sui quali i molti decenni di evoluzione del veicolo sembrano essere scivolati senza lasciar traccia.
Oltre a ciò, un'idea di "eleganza" ormai obsoleta cospira nel mantenere in vita, ed in commercio, micidiali "trappole" da venti chili di peso, prive di cambio e di un sistema frenante degno di questo nome, capaci di seppellire qualunque fantasia di escursione che vada al di là della passeggiata ai giardini pubblici (e già quella è un'impresa).
Queste biciclette "vecchio stile", nate per appagare l'occhio e l'immaginario dell'acquirente e non già le sue esigenze di spostamento, sono in genere destinate, dopo l’improvvido acquisto, all’oblio in polverosi scantinati, o buie soffitte.
L'unica scusante che si può riconoscere agli incauti acquirenti di tali "arnesi" è che la corretta posizione sulla bicicletta non è definibile per via intuitiva, ma va costruita a partire dall'analisi dell'anatomia umana in rapporto alla meccanica ed alle dinamiche imposte dal veicolo stesso.
Coloro i quali, orgogliosi possessori di tali "strumenti di tortura", dovessero ritenersi "mortalmente offesi" da queste ultime considerazioni, insistendo che mai e poi mai tradirebbero la loro adorata bicicletta a "collo di cigno" senza cambio per un mezzo più moderno e funzionale, possono anche risparmiarsi di continuare nella lettura.

IL RELAZIONAMENTO CICLISTA/BICICLETTA

Il rapporto ciclista/bicicletta deve tener conto delle seguenti esigenze:

  • TRASMISSIONE DELLA SPINTA
  • DISTRIBUZIONE DEL PESO CORPOREO
  • COMODITÀ DI GUIDA
  • ACCESSO ED USO DEI COMANDI

Il principio fondamentale sul quale si basa la bicicletta consiste nella trasformazione della spinta che il piede del ciclista esercita sul pedale in un movimento orizzontale del mezzo.
Il lavoro migliore, in questo caso, viene effettuato quando il baricentro del corpo si trova sulla verticale del pedale sul quale avviene la spinta, cioè quello in posizione più avanzata.
In pratica la posizione di pedalata deve essere impostata in maniera tale che, nell'atto della spinta, il ciclista scarichi su tale pedale tutto il proprio peso.
Il ciclista non dovrà percepire sé stesso come una persona seduta che spinga coi piedi in una qualche non meglio precisata direzione, bensì il suo movimento dovrà essere del tutto equivalente a quello compiuto nel salire una rampa di scale, spingendo con tutto il proprio peso di volta in volta su un pedale, e quindi sull'altro (esattamente come se si stessero salendo dei gradini).
Se il vostro modo di pedalare non risponde a questa condizione vuol dire che la bicicletta che utilizzate non è stata correttamente dimensionata.
Questo primo requisito è strettamente connesso col secondo, ovvero la distribuzione del peso corporeo sui tre punti di contatto: manubrio, sellino e pedali.
Una posizione troppo arretrata comporterà che il peso del corpo si scarichi in prevalenza sul sellino, con indolenzimento del sedere, una troppo avanzata produrrà una eccessiva sollecitazione dei polsi.
Per comodità di guida si intende, invece, la facilità con la quale si riesce a controllare la direzione bicicletta.
Esistono biciclette che rispondono all'azione dello sterzo con estrema prontezza e docilità, ed altre sulle quali il solo affrontare una curva richiede doti acrobatiche.
Questo dipende da una quantità di fattori connessi alla geometria del telaio e alla forma del manubrio, la cui discussione esula dagli intenti di questa discussione.
La cosa che mi interessa puntualizzare è che, in presenza di un telaio troppo lungo, nel quale il manubrio risulti troppo distante dalla sella, ogni intervento volto ad "accorciare" la bicicletta, arretrando la posizione delle impugnature, produrrà un cambiamento (spesso in peggio) nella sua guidabilità.
Lo stesso si può affermare per certe vecchie bici da passeggio, con il manubrio molto incurvato all'indietro, e per le "Grazielle": sono modelli di biciclette che si guidano male, scarsamente controllabili nelle situazioni critiche, e questo è intrinseco alla geometria dei loro telai, e non si può migliorare..
Per completare il quadro va considerata la disposizione dei comandi, la cui comodità d'uso e di accesso non sempre è sfruttata al meglio.

LA POSIZIONE DEL SELLINO

Il punto di partenza per questa nostra ricerca dell'efficienza e della comodità non può che essere il sellino.
É a tale componente che, in genere, si accreditano le maggiori colpe ed i maggiori fastidi.
Su di esso, l'operazione che tutti sanno compiere consiste nel sollevarlo ed abbassarlo per adattare la bicicletta a persone di diversa corporatura.
Pochi sanno che il sellino dispone anche della possibilità di regolare l'avanzamento, ovvero di uno scorrimento orizzontale che consente di avvicinarlo o allontanarlo dal manubrio, e della facoltà di variarne l'inclinazione verticale, per alzare o abbassare la punta.
In effetti molti dei fastidi all'inguine lamentati da ciclisti sprovveduti dipendono da un erroneo posizionamento del sellino, in genere dalla punta troppo alzata.
La posizione migliore, nella stragrande maggioranza dei casi, è quella che vede la sella orizzontale, o meglio ancora, con la punta appena inclinata verso il basso.
Altezza ed avanzamento andranno poi messi a punto di pari passo.
Come già detto, per ottenere il massimo rendimento occorre che nella fase di spinta, ovvero con la pedaliera orizzontale, il baricentro del corpo si scarichi verticalmente sul pedale anteriore.
Per ottenere questo risultato il busto deve assumere una posizione inclinata di circa 45° rispetto alla verticale.
Tale posizione inclinata consente una miglior distribuzione dei pesi e previene la colonna vertebrale dalle conseguenze di urti e vibrazioni.
Attenzione! Inclinata non vuol dire curva: se la schiena tende ad incurvarsi vuol dire che c'è qualcosa che non va o nell'inclinazione della sella, o nella distanza sella/manubrio.
Tipicamente se la punta della sella è troppo alta il bacino assume una posizione scorretta, basculata all'indietro, di conseguenza il ciclista ha problemi a raggiungere il manubrio e tende ad incurvare la schiena.
Inutile far presente la gravità dei danni che può comportare il mantenere a lungo una simile postura errata.
Altro fattore importante: per un'ottimale sfruttamento della muscolatura della parte inferiore della gamba (il polpaccio) la posizione del piede sul pedale deve far coincidere l'articolazione del metatarso (dove il piede si piega, o meglio dove si appoggia nell'atto della corsa) con l'asse del pedale.
Va aggiunto che la gamba, nel punto di massimo allungamento dovrebbe distendersi quasi completamente, al fine di facilitare lo smaltimento dell'acido lattico e la riduzione della sensazione di affaticamento.
Oltre a ciò la conformazione dell'articolazione del ginocchio richiede che il centro dello stesso, nella fase di massima spinta, gravi esattamente sulla verticale dell'asse del pedale anteriore.
Date queste condizioni, per approssimazioni successive, si ricava la corretta posizione della sella, in termini di altezza ed avanzamento, rispetto all'asse della pedaliera.
Questa è probabilmente la parte più complessa nella messa a punto della bicicletta, e può richiedere svariati tentativi e diverse uscite di prova.
Molti ciclisti sono poi abituati a fermarsi mettendo il piede a terra senza scendere dalla sella.
Purtroppo la posizione qui suggerita, ottimizzata per la fase di pedalata, richiede al ciclista la discesa di sella ad ogni sosta.
Il movimento connesso, assieme a quello necessario a partire, sono però di facile apprendimento.
D'altronde non si può certo pensare di sacrificare l'efficienza della fase di pedalata, che si protrae, nell'arco della giornata, anche per diverse ore, per privilegiare i pochi secondi occorrenti ogni volta per fermarsi e ripartire.

IL MANUBRIO, QUESTO SCONOSCIUTO

Una volta messa a punto la posizione del sellino si può analizzare il resto della bicicletta, andando a valutare se le proporzioni del telaio rispondono alle nostre esigenze.
L'attenzione si sposta ora sul terzo "punto di contatto" tra ciclista e bicicletta: il manubrio.
Per quanto riguarda la forma dei manubri la fantasia dei fabbricanti si è veramente sbizzarrita.
Purtroppo questa varietà di fogge e dimensioni non corrisponde a reali esigenze di comodità e manovrabilità del mezzo, produce anzi situazioni di notevole disagio dovute ad un cattivo appoggio dei polsi sulle impugnature.
Il manubrio deve rispondere a due precise esigenze: consentire un buon controllo della bicicletta e prevenire l'affaticamento dei polsi (non dimentichiamo che su di esso si scarica buona parte del peso del ciclista).
Non sottovalutiamo, però, che entrambe dipendono non solo dalla forma del manubrio, ma anche dalla geometria complessiva della bicicletta.
Attenzione ad evitare manubri curvi e/o ripiegati all’indietro, diffusi soprattutto nei modelli da "passeggio" e in quelli "da signora", perché costringono i polsi in una posizione in genere scorretta, e alla lunga potenzialmente dannosa.
E qui consentitemi di aprire due parentesi.
Uno: che significa, bici da "passeggio"? La bicicletta è un veicolo che può portarci quasi ovunque, perché uno dovrebbe limitarsi al passeggio? È come dire: un'automobile "da parcheggio"!!
Due: peggio ancora, bici "da signora". Senza parole! Come se le donne non fossero in grado di guidare una bicicletta qualsiasi e ce ne volesse un tipo fatto apposta!
Questo, secondo me, è un perfetto pessimo esempio di come si possa perseguire a tutti i costi la vendita di un oggetto ad un acquirente ignorante, convincendolo che quello che sta acquistando è qualcosa fatto apposta per lui (o per lei), mentre è invece un arnese fatto peggio di altri (al momento, sicuramente peggio delle tanto vituperate mountain bike da supermercato).
Ma torniamo al manubrio.
Per quanto riguarda la forma prenderemo in esame solamente due tipologie: la "barra" dritta, da mountain bike e il manubrio da corsa.
Il manubrio "dritto" delle mountain bikes è quello, tra i due, che garantisce il miglior controllo della bicicletta in qualunque situazione, il suo limite principale consiste nell'avere una sola posizione di guida e non poter cambiare l'appoggio delle mani.
Tale limite è facilmente aggirabile montando alle estremità due impugnature supplementari, dette anche "corna", che consentono di cambiare presa, nel corso della pedalata, e ridurre l'affaticamento dei polsi.
Le appendici non vanno montate in una posizione qualsiasi, l'orientamento corretto è in avanti, appena inclinate verso l'alto (all'incirca 10° - 15°)
Il manubrio da corsa, dal canto suo, consente diverse impugnature ed è quindi adatto ad un uso prolungato nel tempo, tuttavia la sua forma risulta molto più giustificata nelle competizioni agonistiche, dove le alte velocità impongono una posizione raccolta per ridurre gli effetti del freno aerodinamico, di quanto non lo sia ai fini cicloturistici e cicloescursionistici.

LA POSIZIONE DEL MANUBRIO

Come abbiamo visto, l'inclinazione ottimale della schiena, per esigenze di distribuzione del peso, è a circa 45° dalla verticale.
Nella condizione ideale le braccia dovrebbero trovarsi perpendicolari al busto e parallele fra loro.
In questa posizione, la maggior distanza tra i polsi e l'articolazione della spalla, rispetto alle ossa del bacino, fa sì che la collocazione del manubrio sia più bassa rispetto a quella della sella: ciò è da ritenersi perfettamente naturale.
Può sembrare strano, tuttavia è possibile farsi un'idea della posizione "ottimale" in sella anche senza bicicletta.
Si comincia col bilanciarsi su uno dei due piedi, la gamba leggermente flessa e il tallone sollevato da terra, mentre l'altra gamba è maggiormente sollevata e più arretrata.
In questa posizione il baricentro del corpo si trova necessariamente sulla verticale del punto d'appoggio: il metatarso.
Ora è sufficiente distendere le braccia davanti a sé ed inclinare il busto (che già tende spontaneamente ad inclinarsi).
Questa è la posizione "giusta", in teoria dovrebbe essere sufficiente "aggiungere" una bicicletta (in pratica non è così semplice).
Molti, infatti, arrivati a questo punto scopriranno con sgomento che, sulla loro bici, il manubrio si trova in tutt'altra posizione, e la posizione raggiunta è molto diversa.
Ovviamente il consiglio, ove sia possibile, è di intervenire per ripristinare la posizione corretta, o perlomeno avvicinarcisi.
Tuttavia è molto probabile che il dimensionamento complessivo della bici non lo consenta, perché in partenza non adatta alla corporatura del relativo ciclista.
Sono infatti le persone di piccola statura ad avere più problemi, poiché le bici con telai piccoli sono meno diffuse, ed in genere più costose.
Purtroppo, in quest'ultimo caso, i margini di intervento sono abbastanza ridotti.
Se il manubrio si trova troppo lontano dal sellino, ovvero se l'angolo tra il corpo e le braccia è superiore ai 90°, la posizione risulterà inevitabilmente troppo "allungata" e scomoda.
La soluzione definitiva, spesso l'unica possibile, consiste nella sostituzione della bicicletta, procedura presumibilmente non indolore, e comunque non alla portata di tutti.
Nel caso lo scostamento dalla posizione ideale non sia enorme, e il valore della bici ne sconsigli la vendita o il reso come usato, si possono suggerire interventi relativamente poco costosi.
Alcuni centimetri, 5 o 6 nella migliore delle ipotesi, possono essere recuperati attraverso la sostituzione dell'attacco del manubrio (la "pipetta") con un modello più corto.
E' bene, in ogni caso, che la misura complessiva di tale componente non scenda al di sotto dei 7-8 centimetri, pena un netto peggioramento della guidabilità del mezzo.
Altri due o tre centimetri si possono recuperare avanzando la sella, questa è un'operazione in genere sconsigliata, soprattutto dopo aver perso tanto tempo per trovare la posizione ottimale, ma non potendo operare altrimenti è comunque meglio stare un po' sporti in avanti che pedalare "sdraiati".
Se si entra nell'ottica di cambiare bicicletta il consiglio più ragionevole è di partecipare ad iniziative dei gruppi locali e/o di associazioni cicloescursioniste e, in tale contesto, cercare di provare biciclette appartenenti ad individui di corporatura analoga alla nostra.

LA DISPOSIZIONE DEI COMANDI

A differenza dei manubri da corsa, sui quali le leve dei freni hanno una posizione ben definita e pressoché non suscettibile di variazioni, la posizione dei comandi di freni e cambio sulle mountain bike, a causa della sezione tonda della barra manubrio, si presta a significativi stravolgimenti.
Non è raro infatti incontrare ciclisti con le leve dei freni orientate in orizzontale o addirittura puntate verso l'alto.
Tale sistemazione è altamente deleteria, poiché obbliga il polso in una posizione scorretta (specialmente in situazioni critiche come le discese su sterrato), tale da esporre al rischio di lesioni anche gravi ai tendini ed all'articolazione della mano.
La miglior collocazione si ricava solo dopo aver effettuato tutte le messe a punto precedentemente elencate.
Una volta saliti in sella e afferrato saldamente il manubrio, i comandi devono trovarsi sul prolungamento della linea degli avambracci.
Questo al fine di consentire al polso un appoggio ottimale, condizione indispensabile nel caso di discese su fondo sconnesso in grado di produrre forti sollecitazioni (alle articolazioni in generale ed ai polsi in particolare) garantendo al tempo stesso un perfetto controllo sui comandi dei freni.
Al momento di allentare e riposizionare le leve vale la pena di verificare che le impugnature siano collocate ad una larghezza tale che le braccia si trovino parallele tra loro.
Questo si verifica raramente, poiché i fabbricanti tendono a montare manubri più larghi del necessario, dal momento che l'accorciamento di un manubrio largo (con un seghetto per metalli) è certo più semplice che non l'allungamento(!) di uno troppo risicato.
Per correggere l’eccessiva larghezza delle impugnature bisogna allentare le leve dei freni e del cambio (ove non facciano già corpo unico).
Provvederemo, come già detto, a ruotare le prime per collocarle su un piano che è la prolunga ideale dell'avambraccio, e le seconde (qualora si tratti di leve o pulsanti) in modo che effettuino il movimento su un piano ad esse parallelo.
Le impugnature possono essere a questo punto sostituite, con una spesa minima, con versioni più morbide e confortevoli, vivamente consigliate quelle in spugna.
Nella parte di manubrio che avanzerà (come già detto, i manubri sono sempre più larghi del necessario) provvederemo a collocare le impugnature supplementari, in posizione, ripetiamo, di poco sollevata dall'orizzontale.
L'eventuale ulteriore eccesso nella larghezza del manubrio (al massimo due o tre centimetri per lato) andrà eliminato senza rimpianti.

GLI ACCESSORI

Quasi mai una bicicletta monta, di serie, tutto il necessario.
Le già menzionate impugnature supplementari, ad esempio, vanno acquistate a parte.
Esse offrono vari vantaggi: permettono di cambiare posizione alle mani quando i polsi si stancano, consentono una presa, e quindi una posizione del corpo più avanzata, nelle salite (con conseguente riequilibrio del baricentro sulla pedaliera) e garantiscono una presa ottimale quando si pedala in piedi (posizione detta della "ballerina", occasionalmente utile, a patto di non esagerare).
Sono inoltre estremamente utili quegli accessori che hanno la funzione di aumentare la coesione tra piede e pedale: puntapiedi, gabbiette, meccanismi di sgancio rapido.
Il motivo è presto detto, il pedale piatto può essere azionato solamente mediante una spinta verso il basso, quindi la gamba lavora soltanto per un piccolo arco dell'intera pedalata, impiegando solo parte della muscolatura (comunque la parte più potente: quadricipite e polpaccio).
Vincolando il piede al pedale la gamba può continuare a spingere (e tirare) lungo tutti i 360° della pedalata, utilizzando pienamente la muscolatura, con evidenti vantaggi.
Oltre tutto l'azione combinata, una gamba che spinge, l'altra che tira consente al quadricipite di esprimere maggiore potenza.
L'unico inconveniente si pone nel momento in cui ci si ferma, poiché a quel punto occorre che il piede si distacchi dal pedale con la massima velocità e naturalezza, ma è molto più un fatto di abitudine che un problema reale
Esistono diversi modi per ottenere questo tipo di risultato, sistemi di diverso costo ed efficienza, accomunati dall'ulteriore vantaggio di garantire un esatto posizionamento del piede sul pedale.
Sul gradino più basso, il semplice "puntapiedi" risulta efficiente solo per quanto riguarda la spinta in avanti (pedale in posizione alta) e il posizionamento del piede sul pedale (a patto che sia della lunghezza giusta), poco utile invece per quanto riguarda il ben più importante movimento di trazione verso l'alto.
Esso risulta consigliato solo per i principianti, in genere timorosi di non riuscire a sbloccare il piede in tempo al momento delle soste.
Le gabbiette migliorano decisamente l'efficienza nella fase di trazione, bisogna però evitare di stringerle troppo, come anche di impiegare scarpe con la suola molto artigliata, pena il non riuscire, in caso di necessità, a sfilare il piede in tempo per non cadere.
Il mio consiglio è di regolare la larghezza del cinghietto in modo che la scarpa possa infilarsi e sfilarsi comodamente (come fa il piede in una pantofola).
Si perde un po' di efficienza nella fase di trazione, ma si guadagna, e molto, in tranquillità.
Il sistema migliore è però il cosiddetto "sgancio rapido", consistente in un gruppo integrato pedale/scarpa.
Al momento tali pedali vengono proposti anche a prezzi, se non proprio bassi, tutto sommato accettabili in vista di un utilizzo prolungato.
Sulla scarpa (ovviamente già predisposta) viene applicata una staffa che, sotto pressione, va a bloccarsi in una apposita sede sul pedale.
A differenza dei modelli per bici da corsa (standard LOOK), che impediscono, una volta scesi dalla bici, di camminare comodamente, nella più recente versione per mountain bike (standard SPD) la scarpa dispone di una piccola placchetta metallica in posizione rientrata rispetto alla tassellatura della suola.
Questo sistema, una volta scesi dalla bicicletta, consente di camminare comodamente.
Il vantaggio principale consiste nel fatto che, durante la pedalata, il piede resta perfettamente trattenuto in tutte e quattro le fasi di spinta e trazione, mentre può essere sganciato facilmente con una leggerissima torsione verso l'esterno.
Attenzione solamente alla corretta regolazione della molla di sgancio: all'atto della vendita questi pedali sono quasi sempre regolati alla massima forza di bloccaggio, e vanno allentati, pena il non riuscire a sganciarsi in tempo e cadere (questo è il motivo per cui molti restano diffidenti).
Il sistema dà problemi solo nel caso ci si trovi a camminare nel fango, quest'ultimo interferisce sia nella fase di aggancio (ovviamente) che in quella di sgancio (ben più critica!).
Dotazione essenziale è il portapacchi, giacché: "quando la strada è tanta, è meglio far portare il peso alla bici!".
Gli zaini, oltre a scaricare il peso sulle reni, fanno sudare abbondantemente la schiena.
Nel caso di lunghi viaggi, che si affrontano con almeno 7-10 kg di bagagli, è impensabile di trasportarli in uno zaino: non si resiste mezz’ora!
Se intendete montare un portapacchi, verificate che il telaio della vostra bici disponga degli attacchi filettati predisposti, in caso contrario sarà molto difficile ottenere un fissaggio idoneo al trasporto di carichi pesanti (le fascette metalliche tendono a strapparsi, dopo un po’).
Il portapacchi ideale è in alluminio, con le giunzioni saldate e tre asticelle verticali per lato; è il modello che garantisce la massima stabilità alla bici, grazie all'assenza di flessioni laterali, anche montando borse molto pesanti.
Portapacchi più scadenti andranno soggetti a flessioni e torsioni, il che renderà problematico il controllo della bicicletta qualora dovessero sopportare pesi significativi (i già citati 7-10 Kg).
E poi guanti, occhiali, caschetti, pantaloncini imbottiti, specchietti retrovisori, forcelle ammortizzate... il mercato si è sbizzarrito in una quantità di accessori che variano dall’utile, in situazioni specifiche, al puramente decorativo, scegliete senza farvi incantare.
Ad ogni modo l’essenziale è stato detto, grazie per l'attenzione ...e buon viaggio.

(P.s.: potete inviare eventuali commenti ed osservazioni su questo testo all'autore marco.pie@tiscalinet.it anche per eventuali revisioni)

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