19/01/09 Valsugana: Treno + Bici con...granchio...
l'Adige 3/1/09
«Giù dal treno perché nero»
Borgo, episodio denunciato dall'attore Paolini su La7
«Alla stazione ferroviaria di Borgo Valsugana ho assistito a un atto di vero razzismo. Sul treno non è stato fatto salire un uomo di colore con la sua bici nonostante lui avesse pagato il biglietto e sul vagone ci fosse posto».
La denuncia è arrivata in prima serata su La7, canale televisivo nazionale, davanti a oltre un milione di spettatori. E racconta la disavventura di H. operaio nero di 36 anni che lavora a Borgo e vive a Trento. A rivolgerla uno degli attori più famosi in Italia, Marco Paolini che sulla vicenda ha anche scritto una lettera al governatore Dellai.
MARCO PAOLINI (segue dalla prima pagina) Sono in due a partire i viaggiatori da Borgo, uno sale subito, l'altro sta per farlo, ma si ferma sulla porta, ha la bicicletta. Dalla porta aperta davanti a lui, quella centrale, si vedono altre due biciclette nel vestibolo, il treno le prevede, ne può portare dodici, prevede anche l'accesso ai disabili, ma l'uomo sul marciapiede si è bloccato. «Sbrigati - penso - sennò lo perdi». Mi giro verso la testa del treno nella direzione dove sta guardando l'uomo con la bicicletta e resto di stucco: c'è il capotreno che si è sporto e fa cenno di "no" al viaggiatore con la bici. «Perché no?», gli chiedo d'istinto. Non so se mi ha sentito, perché non ho avuto il riflesso di alzare la voce, di fare uno scandalo. Ho invece stupidamente chiesto al viaggiatore: «Perché ti ha detto di no?». In quel momento il capotreno ha chiuso le porte automatiche e il treno ci è sfilato davanti. «Perché ti ha detto di no?», ho ripetuto. Mentre pian piano prendo coscienza di quello che ho visto, mi sento un cretino, un vigliacco, uno spettatore senza possibilità di telecomando per cambiare canale. Il treno è bellissimo mentre si allontana, ma non scatto più foto, non ne ho più voglia. Siamo rimasti solo noi due sul marciapiede, lui sta in silenzio un po', poi dice solo: «E' la prima volta che mi succede - come a giustificarsi - e adesso a che ora arrivo a casa?». «Perché ti ha detto di no?», gli chiedo ancora. Sto disperatamente cercando una ragione per quello che è successo, una logica per escludere quello che sto pensando, ma non trovo niente di convincente. Il treno non era pieno di biciclette, la tabella indica che quel 5592 festivo eroga quel servizio, e poi siamo in Trentino, cioè quasi in Germania, quasi in Svizzera, quasi in Austria, dove in tantissimi mettono le bici sui treni. A riprova di quel che sto pensando arrivano sotto la tettoia, pedalando, due ragazzi bellissimi e sudati che con calma si cambiano la maglietta aspettando il treno che arriverà tra meno di mezz'ora da Trento verso Bassano. E' tutto così normale, così civile, così logico… così, quasi per scusare il capotreno, gli dico: «Forse avrà pensato che non avevi il biglietto...». Senza ostinazione, quasi dimesso, mette le mani in tasca e mi mostra il biglietto, mi dice il prezzo e poi: «Per la bici si paga un euro in più, si paga sul treno, lo prendo tutti i giorni…. - e aggiunge - mi verrebbe voglia di denunciarlo…». Ecco, lo ha detto, io l'ho pensato, ma non osavo: «Se vuoi farlo sarò dalla tua parte, posso testimoniare» e gli do il mio numero di telefono. Poi parliamo un po', perché in fondo si sta bene, è caldo e tra meno di un'ora ne passerà un altro. In fondo quel "no" è un piccolo danno riparabile, però io mi vergogno tantissimo, perché quello che ho visto è un atto di razzismo, quieto e impunito e per questo ripetibile. Il ragazzo con la bici si chiama H., ha la pelle scura ed è un uomo di 36 anni, lavora a Borgo e vive a Trento. Grazie al lavoro fra due mesi potrà rinnovare il suo permesso di soggiorno. È in Italia da otto anni e ha sempre lavorato, a volte con un contratto regolare, altre volte no. Parla piano in un buon italiano, lavora, si porta dietro una bici e usa il treno, quindi è anche ecologico. Però è scuro, è fuori dai parametri, dai parametri del capotreno. Lui ha in testa una sua idea del viaggiatore che vuole a bordo del convoglio. Provo a capirlo. Forse ha avuto brutte esperienze, forse si è sentito a volte abbandonato a se stesso o forse ha solo paura e ha deciso di non correre più rischi, così si è fatto dei parametri: ci sono quelli come lui e poi ci sono gli Altri. Forse c'è stato un equivoco gigantesco, forse il capotreno aveva fretta di recuperare i due minuti per non incorrere in problemi tra Trenitalia e il Trentino, forse non gli piaceva la bici perché era nera (giuro: la bici era nera!), ma io, a distanza di 24 ore, continuo a vergognarmi e siccome su quel treno 5592 battezzato Orsetto, oltre ai colori rosa e bianco c'era scritto Provincia di Trento, ho voluto raccontarlo a lei signor Presidente. A nessuno dovrebbe far piacere che un mezzo pubblico venga usato per discriminare. Io quel capotreno non so se fosse veneto o trentino, ma quel che ha fatto è da vigliacco o da cretino. Perché non l'ha fatto salire? Non credo serva a molto fare scandalo, alzare polvere per gonfiare i titoli dei giornali, credo sia importante far sentire ad H. che non è solo e non deve sentirsi oltraggiato, preso per i fondelli. Fargli sentire che questo non è l'inizio di una brutta spirale dell'Europa con il finale già scontato. La polvere che si alza dopo si deposita e i giornali consumano in fretta le notizie, a noi serve che i parametri del capotreno non diventino idea comune. Servono ostinazione, memoria e un'opposizione ferma a chi prova a stabilire i criteri per decidere chi è razza e chi no, chi sta sopra e chi sotto, chi comanda e chi subisce perché inferiore. Che c'entro io con tutto questo? Niente. O tutto. Io ero lì a guardare i treni che arrivano e partono, mi piace guardarli passare, e continuerò a farlo. Ma non voglio lasciar passare in silenzio tutto il resto.
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l'Adige 4/1/09
Il capotreno mette in riga Paolini
«L'uomo di colore non era stato l'unico ad essere lasciato giù»
E se il cretino - per usare lo stesso termine utilizzato da lui - fosse Marco Paolini e non il capotreno? E se quella che sembrava una circostanziata denuncia di un deprecabile episodio di razzismo (l'aver vietato ad un cittadino di colore di salire sul treno della Valsugana con la sua bicicletta), fosse solo un abbaglio, un granchio, uno scoop non verificato "impastato" in un lavoro teatrale trasformato in notizia solo dall'autorevolezza dell'attore che l'ha declamato davanti alle telecamere de "La7" portandolo a conoscenza di un milione di italiani? Qualcosa più di un dubbio si insinua il giorno dopo la pesante accusa rivolta dal famoso attore nel corso del monologo trasmesso in prima serata nel giorno di Capodanno. Già, perché per bocca del collega Emilio Giuliana consigliere comunale della Fiamma Tricolore a Trento e dipendente di Trenitalia, il capotreno ieri ha dato la propria versione dei fatti avvenuti alla stazione di Borgo Valsugana il 12 ottobre scorso e raccontati in Tv da Paolini. Ciò che emerge è che l'uomo di colore, era solo l'ultimo utente con bicicletta a cui il capotreno quel giorno aveva negato di salire sul treno, e non per razzismo. Il convoglio, attrezzato in teoria per portare solo due bici, dalla stazione di Bassano aveva comunque a bordo 14 biciclette (quando c'è la possibilità il personale di Trenitalia fa uno strappo alla regola) ed alle fermate di Cismon, Primolano, Grigno e Strigno, il capotreno aveva già dovuto dire di no a 15 passeggeri-ciclisti, prima di quello incontrato a Borgo. «No» motivati dal fatto che quel treno viaggiava pieno di passeggeri - è quello usato la domenica dagli studenti veneti per raggiungere l'università di Trento - a cui se ne sarebbero aggiunti altri di lì al capolinea di Trento. Insomma: dopo Bassano non c'erano più le condizioni per garantire il trasporto di altre biciclette in sicurezza, una situazione che il capotreno - per ovvie ragioni di tempo - non è tenuto a spiegare agli utenti, potendo limitarsi a negare loro l'accesso al treno con la bici. Non bastasse la spiegazione tecnico-regolamentare a giustificare il capotreno, aggiungiamo che quest'ultimo e l'uomo di colore citato da Paolini che utilizza abitualmente il treno della Valsugana, si conoscono e si salutano amichevolmente e che comunque, a scanso di equivoci e seguendo una prassi consolidata, il capotreno aveva scritto già il 12 ottobre sera sul suo rapporto due righe nelle quali diceva di essere stato costretto a non far salire un certo numero di passeggeri con la bici La Provincia, tirata in mezzo alla vicenda da una lettera inviata dallo stesso Paolini a Dellai per denunciare l'episodio a cui aveva assistito, con molta signorilità (e forse con altrettanta coda di paglia, non avendo replicato nessuno alla missiva) non mette in dubbio quanto raccontato dall'attore, seppur limitatamente al diniego di salire con la bici opposto all'uomo di colore dal capotreno. Eh sì, perché se il presidente Lorenzo Dellai non mette proprio lingua («Rivolgetevi all'assessore Pacher. Se ne sta occupando lui» è la risposta a chi lo interpella a riguardo), il neo assessore ai trasporti per parte sua non smentisce l'impianto del racconto di Paolini, ma lo mina dall'interno, con un dato servitogli su un piatto d'argento dal Servizio trasporti della Provincia: «Letto quanto pubblicato dai giornali ho contattato gli uffici, ed è emerso un dato che potrebbe spiegare senza scomodare il razzismo quanto accaduto quel giorno a Borgo - afferma Ale Pacher , sentito prima di avere la versione del capotreno -. In quel periodo sul treno Minuetto i posti per le biciclette sono solo due e non dodici come riferito da Paolini. È assai probabile che, purtroppo per lo straniero intenzionato a salire sul treno con la sua bici, quei posti fossero già occupati. Se è andata così il capotreno non poteva fare altro che lasciarlo a terra: se non è possibile ancorare le biciclette negli appositi stalli, il capotreno non può imbarcare passeggeri con la bici». Toltosi con classe il sassolino dalla scarpa, l'assessore si mostra comunque disponibile ad approfondire ed eventualmente a sanzionare l'aspetto residuale relativo ai modi in cui è avvenuta la comunicazione fra capotreno ed utente: «Se c'è stato un deficit di comunicazione lo chiederemo a Trenitalia, che per la Provincia svolge un servizio. In base agli accordi, per cose gravi la Provincia può irrogare anche sanzioni amministrative, ma credo l'episodio in questione possa essere al massimo censurabile, sempre che il deficit di comunicazione ci sia stato veramente». Pacher "svicola" solo all'ultima domanda: che fine ha fatto la lettera di Paolini? «Arrivata pare essere arrivata - afferma -. Solo che gli uffici a cui mi sono rivolto non ne avevano traccia».
PIETRO GOTTARDI p.gottardi@ladige.it
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l'Adige online
05/01/2009 16:02
Paolini: «Scusa, non c'entra il razzismo»
L'attore Marco Paolini prende atto che alla stazione di Borgo non c'è stato alcun atto di razzismo, come da lui denunciato, e con una lettera si scusa col ferroviere sott'accusa. Immagino tu sia riuscito a spiegargli perché quel giorno a Borgo era rimasto a terra con la sua bicicletta. Così vanno le cose tra gli uomini che si parlano. Purtroppo per te quel giorno vicino a lui c'ero io a raccogliere tutta la sua amarezza e incredulità; perché quel giorno, ammettilo, non eri stato chiaro per niente. E dopo, anche se tra voi vi siete spiegati io purtroppo non potevo saperlo. Ho scritto allora una lettera, l'avrai letta riportata dai giornali, amara e preoccupata al Presidente della Provincia di Trento. Parlava di come io avevo letto il tuo gesto, di quelle porte chiuse in faccia a uno che non è nessuno. Mi ero sbagliato, ora lo so, nessun razzismo, solo nuove disposizioni di servizio; la porta in faccia era solo per la bicicletta. Certo che non è facile fare il ferroviere con troppi padroni della ferrovia che ragionano come fosse un modello virtuale. Un rete ferroviaria non è internet, più è rigida meno funziona. Senza uomini di buon senso non funziona niente. Cosa è successo a Borgo Valsugana il 12 ottobre? Un ferroviere ha commesso errore umano. L'errore umano a volte costa vite, a volte solo rabbia o frustrazione. E i ferrovieri si incazzano. Io non faccio il sindacalista e quindi non difendo la categoria per partito preso, ma conosco e rispetto il lavoro, so che spesso l'errore umano nasce dalle contraddizioni di un sistema imperfetto, perché è reale e non virtuale. L'ultima frase del vecchio regolamento recitava "per tutto quanto non previsto dal presente regolamento il macchinista dovrà attenersi a senno e ponderatezza". Senza uomini che pensano, i treni non camminano. Ogni sistema umano è così, non solo la ferrovia. Mi dispiace che il collega cui hai affidato la tua versione dei fatti, abbia sottolineato speculazioni di calcolo politico dietro l'accusa di razzismo. Non è così. Non è stata una speculazione, io non ho costruito un caso per sfruttarlo. È capitato e mi ha lasciato un segno che col tempo si è sedimentato in una domanda a teatro: perché lui no sul treno? La risposta che ho dato per fortuna, era sbagliata. Ti ho fatto torto, rimedierò come tu hai fatto con H. sul treno parlandogli da uomo a uomo. Spero tu gli abbia detto quanto ti dispiaceva d'averlo lasciato giù dal treno quel giorno e spero ti sia dispiaciuto almeno quanto a me di aver pensato male di te. Il resto è polvere che si muove quando i titoli dei giornali sparano alto. Ma sui giornali ho letto anche molte cose interessanti e condivisibili su questa vicenda e spero che tutto questo ci aiuti. Il resto per fortuna possiamo sgonfiarlo. Non c'è stato razzismo a Borgo quel 12 ottobre e siamo in tanti a lavorare perché non ci sia mai, né in Trentino, né in Italia, né in Europa. Era un augurio di buon anno il mio spettacolo su LA7 e spero che tra un po' ci si possa anche noi trovare, parlare, senza più equivoci e farci gli auguri, come dovrebbe succedere tra umani. Così, se vuoi, succederà».
IL COMMENTO DI PIETRO GOTTARDI
Il valore di un uomo si pesa quando sbaglia. Se farà finta di nulla confidando nell'oblio che lascia come strascico il trascorrere del tempo; se non avrà la forza di guardare negli occhi le persone a cui ha fatto torto per chiedere loro scusa; se userà il proprio status, la propria divisa, la propria qualifica per forzare la realtà dei fatti e non "abbassarsi" a dire scusa, quel soggetto come uomo varrà poco. Dopo l'infondata accusa di razzismo lanciata da Marco Paolini la sera di Capodanno in diretta tv davanti ad un milione di telespettatori, ad un capotreno in servizio sulla linea della Valsugana, abbiamo temuto (provando delusione) che dietro il grande attore si celasse un piccolo uomo. Per fortuna sbagliavamo. Marco Paolini, l'attore famoso nel mondo per il monologo sul Vajont, capito di aver dato una lettura sbagliata di quel che era accaduto il 12 ottobre scorso alla stazione di Borgo Valsugana, ha preso un pugno di cenere e se l'è buttato in testa chiedendo pubblicamente scusa nella lettera qui a fianco. Gran gesto, Marco. Più bello del tuo Vajont.
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l'Adige 09/01/2009
Discriminazioni in treno? Sì, contro le biciclette
Ora che la vicenda di Paolini in Valsugana ha trovato il suo happy end (niente razzismo), ci piacerebbe comunque darne brevemente la nostra lettura.
Se Paolini, prima di decidere di fare di quest'episodio l'incipit del suo monologo di capodanno, si fosse minimamente informato, avrebbe scoperto quello che noi abbiamo pensato fin da subito, ovvero che si trattava del solito ciclista lasciato a terra.
Il passo della sua lettera su cui puntiamo la nostra attenzione è il seguente: «Il treno non era pieno di biciclette, la tabella indica che quel 5592 festivo eroga quel servizio, e poi siamo in Trentino, cioè quasi in Germania, quasi in Svizzera, quasi in Austria, dove in tantissimi mettono le bici sui treni. A riprova di quel che sto pensando arrivano sotto la tettoia, pedalando, due ragazzi bellissimi e sudati che con calma si cambiano la maglietta aspettando il treno che arriverà tra meno di mezz'ora da Trento verso Bassano. È tutto così normale, così civile, così logico...».
Certo, dovrebbe essere «normale», ma evidentemente non lo è. Diamo atto alla Provincia di Trento e a Trenitalia dell'ottimo lavoro svolto fin qui con l'aver allestito le carrozze porta-bici per la stagione estiva in Valsugana e sulla Trento-Malè e con l'aver istituito il prezzo agevolato di solo 1 euro. Ma forse «si può dare di più», diventare «un paese normale» come Germania, Svizzera, Austria, dove nessuna bici è mai lasciata giù da un treno (tanto meno la domenica, quando è ovvio che girano più ciclisti).
Finora del trasporto bici si è occupato solo l'assessorato ai trasporti. Forse sarebbe ora di allargare l'orizzonte e ricordarsi che la bicicletta è un'insostituibile amica dell'ambiente. Dice un vecchio slogan «one more bike, one less car», una bici in più è un'auto in meno. Questo coinvolge in pieno il neo-assessore all'ambiente Alberto Pacher, a cui quindi affidiamo il compito di far diventare il Trentino la provincia italiana dove per le biciclette sia «tutto così normale, così civile, così logico».
Manuela Demattè - FIAB-Amici della Bicicletta - Trento
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